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venerdì 15 ottobre 2010

La mia tesi


Gli ultimi decenni del secolo scorso sono stati solcati da profonde rivoluzioni in molti ambiti delicati della vita sociale. Tra questi, la politica, forse, è uno di quelli che in Italia ha visto ribaltare maggiormente i propri principi e le proprie regole. La caduta delle grandi ideologie ha fatto si che i partiti che si identificavano e traevano la propria forza proprio da queste grandi narrazioni, perdessero il loro principio fondativo ed unificante. Tutto ad un tratto le contrapposizioni ideologiche che avevano caratterizzato, con scontri non solo figurati, la storia del nostro paese, venirono a cadere. La politica si trovò nel caos, ed a questo si aggiunge la scossa tellurica provata dalle inchieste giudiziarie che presero il nome di “Mani Pulite”. Alcuni dei maggiori partiti vennero letteralmente cancellati dall’atlante politico, e quelli che rimasero in piedi si dovettero sforzare al fine di ristrutturare le proprie organizzazioni, in seguito all’allontanamento dalla politica della base volontaria dei partiti di massa.
Dall’altra parte, la caduta definitiva del monopolio televisivo della concessionaria statale Rai ha portato il suddetto servizio pubblico a confrontarsi con le nascenti emittenti commerciali, che avevano insite nel loro nome il proprio dictat: commerciale. Cioè si identificavano con una logica che non era più quella pedagogica ed istruttiva della RAI anni 60/70, ma bensì seguivano il solo profitto economico. Da questo processo non poteva rimanere esente anche l’informazione politica che veniva veicolata attraverso la televisione ed i programmi divulgativi. Così facendo la stessa politica, che non poteva permettersi di non apparire su questo media oramai divenuto fondamentale per chiunque volesse entrare in contatto diretto con l’intera popolazione, si è dovuta piegare alla “logica mediale”. Anch’essa, come una qualsiasi altro argomento trattato doveva venire presentata sotto una veste accattivante e che fosse in grado di attrarre il maggior numero possibile di telespettatori,
Su queste basi sono nati programmi ibridi di informazione politica, che vengono chiamati infotainment e del politainment, modalità di diffusione di informazioni in cui si vuole non solamente informare lo spettatore, ma anche intrattenere. Le soft news hanno preso il sopravvento sulle notizie più di difficile comprensione da parte del pubblico; le notizie ora vengono divulgate con accenti sensazionalistici, incentrate sempre di più su persone concrete e fatti facilmente riconoscibili e di facile comprensione.
Questo ha fatto si che gli attori che prendono parte al processo della comunicazione, cioè cittadini, media e partiti, subissero delle profonde metamorfosi, e che i modelli che erano state in precedenza teorizzati finissero per non dimostrarsi più attendibili.
Le notizie sempre più incentrare su personaggi politici concreti e la crisi in atto dei partiti ha fatto si che anche in Italia, repubblica parlamentare, iniziasse a prendere sempre più piede l’utilizzo di tecniche di marketing per la promozione dei candidati politici, non solamente a livello locale, dove l’elezione dei rappresentanti è diretta, ma anche a livello nazionale. Infatti la bussola politica da anni si sta spostando verso una radicale personalizzazione; non si può ancora parlare di vera e propria presidenzializzazione, visto che non sono state approvate delle riforme costituzionali, ma la corsa alla presidenza del consiglio è ogni elezione sempre più impostata verso la concezione che il voto dei cittadini si identifichi con una investitura diretta del vincitore.
Oramai le campagne elettorali sono studiate nei minimi particolari, dal più impercettibile, come l’abbigliamento del candidato, al più vistoso, come i palchi dei comizi elettorali. Nulla più è lasciato al caso, tutto è pianificato e predefinito in anticipo. Questo fa somigliare il politico sempre più ad un prodotto commerciale: indagini di mercato per selezionare il target di riferimento; studio dell’immagine equiparabile a quella fatta per il packaging di un qualsiasi prodotto; studio dello slogan giusto; la ricerca spasmodica della visibilità sui media. Ormai le barriere sono cadute anche in Italia, che si è messa sullo stesso piano delle altre democrazie occidentali con qualche decennio di ritardo
Questo ha fatto si che ci fosse un proliferare di professionisti della politica, da non identifarsi solamente con i politici di professione, ma bensì con tutte quelle figure professionali che lavorano dietro al politico al fine di curare la sua immagine.
Avendo a televisione soppiantato quasi totalmente gli altri mass media come divulgatore di informazione, ed essendo essa un media che si basa prettamente sulla forza e l’impatto visuale, più che su altri fattori come la parola, si capisce perché l’immagine abbia acquisito un’importanza centrale all’interno della sfida politica. Non la si deve identificare solamente con la immagine estetica esteriore, anche se è oramai divenuta un elemento fondamentale e non più trascurabile da un eventuale candidato. Ma bensì come l’insieme di tutte quelle caratteristiche personali che fanno si che il politico si renda facilmente riconoscibile dai cittadini ed che riesca ad incarnare quei valori che si identificano con le proprie idee politiche ed il proprio programma.
Tutte queste considerazioni e queste tesi sembrano essere state studiate a memoria dal caso preso in esame in questo elaborato: il parlamentare europeo Tiziano Motti. Il suddetto personaggio politico è comparso come una meteora all’interno della campagna elettorale per le elezioni del parlamento europeo svoltesi nel 2009. Utilizzando le più disparate tecniche di marketing politico e di promozione della propria immagine personale, è riuscito a farsi eleggere nonostante fosse un totale outsider e non avesse utilizzato la macchina organizzativa del partito su cui si appoggiava per essere eletto.
Motti è l’emblema della nuova “politica pop”, in cui viene data un’importanza focale alle tecniche di marketing politico e alla promozione della propria immagine personale, quasi lasciando in secondo piano il programma politico ed il partito di appartenenza. La sua elezione basata su fondamenti quasi del tutto sconosciuti alla politica nostrana è divenuta un termine di paragone ed un esempio per chiunque volesse ispirarsi a questo tipologia di campagna elettorale.

lunedì 4 ottobre 2010

Eutanasia contro la tortura di Stato


Viviamo in un paese che va al contrario.
Quasi l’intera spesa per la sanità pubblica è usata per tenere in vita o cercare di salvare persone che comunque non sopravvivranno ai prossimi sei mesi. Invece di stanziare fondi per la ricerca con il fine ultimo di salvare la vita a persone cui questa può ancora significare qualcosa, ci si ostina ad impiantare pace-maker a pluri ottantenni con l’unico risultato di protrarre i loro dolori e le loro sofferenze.
So che è un discorso difficile da comprendere, al limite dell’eutanasia di stato nazista, ma la nostra è una società sempre più vecchia, destinata, prima o poi, al collasso. Tutto il sistema imploderò su se stesso: presto non ci saranno più soldi ne per pensioni e ne per la sanità.
Se ci si riflette su, tutto questo non è del tutto privo di ragione, anzi; la sua pecca forse è proprio quella di traboccare di ragione. Non tiene conto degli affetti, delle relazioni che intercorrono tra noi e i malati. Ma sfido anche il più accanito e ipocrita benpensante a non darmi anche solo un briciolo di ragione quando si troverà a dover assistere per lunghi anni un familiare che riamane aggrappato alla vita, non per volere della natura o di un dio, qualunque esso sia, ma solo grazie a progressi scientifici. Forse si ricrederanno anche loro quando arriveranno ad odiare quelle persone che tanto hanno amato prima. Quando stenteranno a riconoscere l’immagine rassicurante di un proprio caro, in quella persona che gli si presenta davanti.
Non si tratta di egoismo: pensate che costringere a vivere una persona contro la propria volontà, contro ogni speranza di guarigione, sia un gesto generoso? Io penso proprio di no.
Penso che imporre inutili sofferenze con la sola motivazione di dover seguire i dettami di una dottrina religiosa, sia al limite del reato. Io non la definisco accanimento terapeutico, ma di vera e propria tortura di Stato. Il mio discorso è volutamente provocatorio, ne sono conscio. Ma ho paura del futuro che ci aspetta. Siamo spaventati in maniera inverosimile dalla morte e da tutto ciò che la riguarda e tentiamo di allontanarla il più possibil dai nostri occhi, come se così facendo fossimo in grado di farla scomparire.
Siamo una società al limite dello sfacelo: la cosa che temiamo di più in assoluto è l’invecchiamento; cioè l’unica cosa che per certo non riusciremo a fermare ed evitare mai, nei secoli dei secoli! Tutto questo è paradossale. Invece di essere spaventati dal morire giovani o pensare a goderci la vita quando questa ancora ci offre qualcosa di significativo, cerchiamo di ammazzarci con tutto quello che ci capita a portata di mano (dalle auto sempre più veloci, alle droghe pesanti sempre più presenti e reperibili ovunque; dall’alcool, al fumo…).
L’unico chiodo fisso che abbiamo nella nostra esistenza è ammassare più soldi possibili, per poi goderceli chissà quando. Per goderceli forse quando la natura giustamente verrà a chiedere il conto? Mi sembra veramente tutto troppo stupido.
E’ un’idiozia semantica sacrificare la nostra breve permanenza su questa Terra alla spasmodica conquista del potere e conseguentemente del denaro, al mito della bellezza eterna a tutti i costi, alla ricerca dell’elisir di lunga vita. Fondare la propria esistenza e, purtroppo, un’intera società, su questi ideali è quanto di più immorale possiamo immaginare. E’ questo che una religione seria dovrebbe combattere: non il mio diritto ad amare come, quando e chi mi piace; non il mio diritto ad andarmene da questo mondo nella maniera che più mi aggrada. Ecco di cosa si dovrebbe occupare una Chiesa coerente con i precetti su cui veniva fondata più di duemila anni fa.
La mia denuncia vuole essere un grido che scuota le coscienze assopite ed oramai abituate a seguire le linee guida prefissate da chi ci comanda. In quanto urlo non può contenere la ragionevolezza di un discorso o di un pensiero, ma ha insiti l’urgenza e la violenza propri dei momenti bui.
Sono conscio di tutto questo; ma lo sono anche del fatto che alcuni tabù devono necessariamente scomparire se la nostra società vuole progredire nella direzione giusta: non più immobile e fissa solo ed esclusivamente sul presente, ma sbilanciata e protesa verso un futuro, mai come ora, prossimo.