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lunedì 4 ottobre 2010

Eutanasia contro la tortura di Stato


Viviamo in un paese che va al contrario.
Quasi l’intera spesa per la sanità pubblica è usata per tenere in vita o cercare di salvare persone che comunque non sopravvivranno ai prossimi sei mesi. Invece di stanziare fondi per la ricerca con il fine ultimo di salvare la vita a persone cui questa può ancora significare qualcosa, ci si ostina ad impiantare pace-maker a pluri ottantenni con l’unico risultato di protrarre i loro dolori e le loro sofferenze.
So che è un discorso difficile da comprendere, al limite dell’eutanasia di stato nazista, ma la nostra è una società sempre più vecchia, destinata, prima o poi, al collasso. Tutto il sistema imploderò su se stesso: presto non ci saranno più soldi ne per pensioni e ne per la sanità.
Se ci si riflette su, tutto questo non è del tutto privo di ragione, anzi; la sua pecca forse è proprio quella di traboccare di ragione. Non tiene conto degli affetti, delle relazioni che intercorrono tra noi e i malati. Ma sfido anche il più accanito e ipocrita benpensante a non darmi anche solo un briciolo di ragione quando si troverà a dover assistere per lunghi anni un familiare che riamane aggrappato alla vita, non per volere della natura o di un dio, qualunque esso sia, ma solo grazie a progressi scientifici. Forse si ricrederanno anche loro quando arriveranno ad odiare quelle persone che tanto hanno amato prima. Quando stenteranno a riconoscere l’immagine rassicurante di un proprio caro, in quella persona che gli si presenta davanti.
Non si tratta di egoismo: pensate che costringere a vivere una persona contro la propria volontà, contro ogni speranza di guarigione, sia un gesto generoso? Io penso proprio di no.
Penso che imporre inutili sofferenze con la sola motivazione di dover seguire i dettami di una dottrina religiosa, sia al limite del reato. Io non la definisco accanimento terapeutico, ma di vera e propria tortura di Stato. Il mio discorso è volutamente provocatorio, ne sono conscio. Ma ho paura del futuro che ci aspetta. Siamo spaventati in maniera inverosimile dalla morte e da tutto ciò che la riguarda e tentiamo di allontanarla il più possibil dai nostri occhi, come se così facendo fossimo in grado di farla scomparire.
Siamo una società al limite dello sfacelo: la cosa che temiamo di più in assoluto è l’invecchiamento; cioè l’unica cosa che per certo non riusciremo a fermare ed evitare mai, nei secoli dei secoli! Tutto questo è paradossale. Invece di essere spaventati dal morire giovani o pensare a goderci la vita quando questa ancora ci offre qualcosa di significativo, cerchiamo di ammazzarci con tutto quello che ci capita a portata di mano (dalle auto sempre più veloci, alle droghe pesanti sempre più presenti e reperibili ovunque; dall’alcool, al fumo…).
L’unico chiodo fisso che abbiamo nella nostra esistenza è ammassare più soldi possibili, per poi goderceli chissà quando. Per goderceli forse quando la natura giustamente verrà a chiedere il conto? Mi sembra veramente tutto troppo stupido.
E’ un’idiozia semantica sacrificare la nostra breve permanenza su questa Terra alla spasmodica conquista del potere e conseguentemente del denaro, al mito della bellezza eterna a tutti i costi, alla ricerca dell’elisir di lunga vita. Fondare la propria esistenza e, purtroppo, un’intera società, su questi ideali è quanto di più immorale possiamo immaginare. E’ questo che una religione seria dovrebbe combattere: non il mio diritto ad amare come, quando e chi mi piace; non il mio diritto ad andarmene da questo mondo nella maniera che più mi aggrada. Ecco di cosa si dovrebbe occupare una Chiesa coerente con i precetti su cui veniva fondata più di duemila anni fa.
La mia denuncia vuole essere un grido che scuota le coscienze assopite ed oramai abituate a seguire le linee guida prefissate da chi ci comanda. In quanto urlo non può contenere la ragionevolezza di un discorso o di un pensiero, ma ha insiti l’urgenza e la violenza propri dei momenti bui.
Sono conscio di tutto questo; ma lo sono anche del fatto che alcuni tabù devono necessariamente scomparire se la nostra società vuole progredire nella direzione giusta: non più immobile e fissa solo ed esclusivamente sul presente, ma sbilanciata e protesa verso un futuro, mai come ora, prossimo.

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