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mercoledì 26 maggio 2010

Piccolo saggio di marketing politico



http://www.repubblica.it/economia/2010/05/24/news/manovra_24maggio-4291308/index.html?ref=search">

Berlusconi, il plenipotenziario, oligarca a capo del suo partito personale, colui che tutto fa e tutto decide, nel momento della annunciazione della venuta della crisi anche in Italia con conseguenti misure restrittive nei confronti delle intoccabili tasche degli italiani, semplicemente si dissolve, scompare.
Quanti giorni sono che non lo sentite o vedete in video?!
Bene, le cattive notizie le lascia tranquillamente divulgare al povero Gianni Letta, una volta di più parafulmini di questo governo di scalzacani, onde evitare di sporcare la propria reputazione di venditore di sogni.
Ne sa una più del diavolo il buon vecchio Silvio...

domenica 23 maggio 2010

Le 3 "I" dell'immmigrazione: Integrazione, Inflessibilità, Istruzione


La politica usa il tema dell'immigrazione.
Lo usa per fare demagogia, per ottenere facili riscontri elettorali, spingendo sulle pulsioni più profonde di ogni individuo. Cerca di suscitarne le paure più ataviche, quelle che si provano nei confronti dell'ignoto, di quello che non ci è dato di conoscere. Queste emozioni fanno leva su frame già presenti all'interno della nostra mente, e che, piano piano, si stanno sedimentando sempre di più all'interno della società.
Viene instillata nella popolazione la diffidenza nei confronti di chi parla una lingua diversa dalla nostra, di chi pratica una religione differente.
Questi sono gesti del tutto incoscienti e sconsiderati messi in atto da una classe politica e da professionisti della comunicazione del tutto inadeguati ad affrontare la problematica. Sono compiuti con la ben che minima lungimiranza, senza anche la più semplice analisi demografica, economica o etnografica. Anche il più inetto ed irresponsabile degli scienziati sociali o politici, potrebbe confermare che il mondo è sempre più in balia di quel processo inarrestabile che cade sotto il nome di globalizzazione. Non si può pretendere che questa evoluzione possa svilupparsi solo sul versante economico, e che questo non contagi anche i flussi di capitale umano che provengono da quello che viene definito, Terzo Mondo. Più passeranno gli anni, più ci si dovrà abituare a società sempre più multietniche, multirazziali e multiculturali.
La chiusura totale nei confronti di chi è “altro” da noi, non potrà che avere ripercussioni future devastanti all'interno della società italiana. Basti pensare che il 22% della popolazione straniera è presente sul nostro territorio è costituita da minori, rispetto al 16,7% di quella italiana. I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti altri 40.000 minori arrivati nel nostro paese a seguito di ricongiungimento. Senza troppi voli pindarici, ci si può immaginare la società italiana fra pochi decenni come esempio di società mista, non molto dissimile da gli altri paesi europei industrializzati.
Sono dati che non si possono ignorare. Non si può pensare di rimandare in eterno il problema dell'integrazione di queste persone che nascono all'interno del nostro Stato, si sentono italiani, ma che in un certo senso si vedono come respinti ed allontanati, come se li si volesse far restare cittadini di serie b in eterno. Questo è il metodo giusto se si vuole che si creino situazioni di disagio, sacche di povertà, facilmente suscettibili ed influenzabili dalla criminalità organizzata. Di certo la strada per l'integrazione passa da tutt'altra parte.
Questa strada sicuramente non sarà semplice; al contrario, sarà tortuosa e irta di difficoltà. Passerà attraverso sacrifici mentali e rinunce culturali.
Allo stesso tempo servirà altrettanta fermezza nel condannare chi viene scoperto a delinquere nel nostro paese, senza alcun tipo di pietismi o favoritismi. Serviranno piani di ingressi precisi e concertati con i vari attori sociali interessati alla problematica: Confindustria, sindacati, Ministeri competenti.
Bisognerà stringere patti solidi e duraturi con i paesi del Mediterraneo usati come base di partenza per le vituperate “carrette del mare” .
L'opinione pubblica dovrà essere abituata all'idea che un'altra società è possibile, ma, soprattutto, inevitabile. Il processo sarà inarrestabile, bisogna farsi trovare pronti, perchè quella che potrebbe essere una onda rigenerante per una società oramai in crisi, non si tramuti in uno tsunami devastante.

sabato 22 maggio 2010

Ora basta!


Ieri ho assistito ad una scena emblematica e che mi ha fatto riflettere a fondo sulla situazione attuale che stiamo vivendo in Italia.
Partiamo dal principio: stavo seguendo un convegno dal titolo "La dimensione trasnazionale della criminalità organizzata", in cui vari rappresentanti di diverse figure sociali portavano la propria esperienza e il proprio punto di vista sull'argomento. Il tutto procedeva secondo copione, finchè al momento delle domande, in mezzo ad una platea di studenti universitari, si è alzata la mano di un signore abbastanza in la con gli anni, il quale ha concluso il proprio accorato intervento, che verteva sull'attualissima questione delle intercettazioni telefoniche, con "la" frase che è il punto di volta della questione: "capisco che non si possano più prendere le armi ( si riferiva alla Resistenza, non al terrorismo n.d.r.), ma non è possibile assitere a quello che stiamo vivendo senza fare niente".
La frase di per se non contiene ne spunti particolari, ne è dotata di una certa profondità. Una cosa però mi ha fatto riflettere: non ho mai e poi mai sentito pronunciare questa stessa frase da un ragazzo o da un giovane virgulto, e deve giungere alle mie orecchie scagliata da un quasi ottuagenario!?
Ma dov'è finito il nostro orgoglio, dov'è finito la sete di giustizia che storicamente ed antropologicamente fanno parte del bagaglio di ogni giovane essere umano, e che tendono ad affievolirsi con l'età?!
Le nostre uniche risorse, anche se fondamentali al giorno d'oggi, si riassumono all'invettiva formato elettronico relegata ad un qualsivoglia social network ( è ovvio che dentro questo calderone mi ci ficco in primis anche io, visto la modalità in cui sto diffondendo il mio pensiero, sarei un grandioso ipocrita ad ergermi su un piedistallo).
Prendiamo spunto da chi ha più fame di giustizia di noi, come le giovani generazioni di Iran e Thailandia che hanno trovato il coraggio di manifestare il proprio sdegno e la propria rabbia. Facciamo sentire la nostra voce una volta per tutte; togliamoci dalla faccia quell'inutile sorrisetto da primi della classe; smettiamo di ostentare una ormai sorpassata superiorità morale. E' ora di rimboccarsi le maniche, ritoranre al lavoro sporco delle manifestazioni e degli ormai vituperati gazebo. Non si può pensare di combattere un esercito con "le belle parole", è ora di fare qualcosa di concreto.
E non pensiate che il paragonare la nostra situazione a quella dei suddetti paesi sia una esagerazione pura e semplice; so benissimo che la qualità di vita e la libertà di parola, non sono nemmeno ponibili sullo stesso piano di osservazione.
Però questa non è l'unica differenza che intercorre tra noi e loro: loro almeno sono coscienti di vivere in una dittatura, noi no.