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domenica 23 maggio 2010

Le 3 "I" dell'immmigrazione: Integrazione, Inflessibilità, Istruzione


La politica usa il tema dell'immigrazione.
Lo usa per fare demagogia, per ottenere facili riscontri elettorali, spingendo sulle pulsioni più profonde di ogni individuo. Cerca di suscitarne le paure più ataviche, quelle che si provano nei confronti dell'ignoto, di quello che non ci è dato di conoscere. Queste emozioni fanno leva su frame già presenti all'interno della nostra mente, e che, piano piano, si stanno sedimentando sempre di più all'interno della società.
Viene instillata nella popolazione la diffidenza nei confronti di chi parla una lingua diversa dalla nostra, di chi pratica una religione differente.
Questi sono gesti del tutto incoscienti e sconsiderati messi in atto da una classe politica e da professionisti della comunicazione del tutto inadeguati ad affrontare la problematica. Sono compiuti con la ben che minima lungimiranza, senza anche la più semplice analisi demografica, economica o etnografica. Anche il più inetto ed irresponsabile degli scienziati sociali o politici, potrebbe confermare che il mondo è sempre più in balia di quel processo inarrestabile che cade sotto il nome di globalizzazione. Non si può pretendere che questa evoluzione possa svilupparsi solo sul versante economico, e che questo non contagi anche i flussi di capitale umano che provengono da quello che viene definito, Terzo Mondo. Più passeranno gli anni, più ci si dovrà abituare a società sempre più multietniche, multirazziali e multiculturali.
La chiusura totale nei confronti di chi è “altro” da noi, non potrà che avere ripercussioni future devastanti all'interno della società italiana. Basti pensare che il 22% della popolazione straniera è presente sul nostro territorio è costituita da minori, rispetto al 16,7% di quella italiana. I nuovi nati da entrambi i genitori stranieri hanno inciso nel 2008 per il 12,6% sulle nascite totali registrate in Italia, ma il loro apporto è pari a un sesto se si considerano anche i figli di un solo genitore straniero. Ad essi si sono aggiunti altri 40.000 minori arrivati nel nostro paese a seguito di ricongiungimento. Senza troppi voli pindarici, ci si può immaginare la società italiana fra pochi decenni come esempio di società mista, non molto dissimile da gli altri paesi europei industrializzati.
Sono dati che non si possono ignorare. Non si può pensare di rimandare in eterno il problema dell'integrazione di queste persone che nascono all'interno del nostro Stato, si sentono italiani, ma che in un certo senso si vedono come respinti ed allontanati, come se li si volesse far restare cittadini di serie b in eterno. Questo è il metodo giusto se si vuole che si creino situazioni di disagio, sacche di povertà, facilmente suscettibili ed influenzabili dalla criminalità organizzata. Di certo la strada per l'integrazione passa da tutt'altra parte.
Questa strada sicuramente non sarà semplice; al contrario, sarà tortuosa e irta di difficoltà. Passerà attraverso sacrifici mentali e rinunce culturali.
Allo stesso tempo servirà altrettanta fermezza nel condannare chi viene scoperto a delinquere nel nostro paese, senza alcun tipo di pietismi o favoritismi. Serviranno piani di ingressi precisi e concertati con i vari attori sociali interessati alla problematica: Confindustria, sindacati, Ministeri competenti.
Bisognerà stringere patti solidi e duraturi con i paesi del Mediterraneo usati come base di partenza per le vituperate “carrette del mare” .
L'opinione pubblica dovrà essere abituata all'idea che un'altra società è possibile, ma, soprattutto, inevitabile. Il processo sarà inarrestabile, bisogna farsi trovare pronti, perchè quella che potrebbe essere una onda rigenerante per una società oramai in crisi, non si tramuti in uno tsunami devastante.

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