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lunedì 22 novembre 2010

Chi ha paura delle case chiuse?



Negli ultimi decenni l’argomento prostituzione è stato sviscerato da qualsiasi angolatura e punto di vista. Nonostante tutto, alcuni aspetti sono stati sovente tralasciati nell’affrontare questa tematica, lasciando spesso campo ad un’analisi che prendeva spunto quasi unicamente da correnti di pensiero legati a doppia maglia ad una morale ed ad una etica che ormai non sono più accostabili e sovrapponibili agli umori ed agli stili di vita del popolo italiano. Il fossilizzarsi su un cieco proibizionismo statale che non prende in considerazione la regolamentazione delle “case chiuse”, che non tiene conto di come questa problematica è stata affrontata e vissuta storicamente ad ogni latitudine, sotto ogni forma di governo, sotto l’egida di tutte le religioni, è un esercizio di stile inutile e controproducente. Sono migliaia di anni che la prostituzione esiste sul nostro pianeta: nella società greca antica esisteva sia quella femminile che quella maschile. Le prostitute, che vestivano con abito distintivo e pagavano le tasse, potevano essere indipendenti ed erano donne influenti; la prostituta colta e di alto ceto era definita etera. Il primo bordello fu istituito da Solone ad Atene nel VI secolo a.C.
Il diritto romano regolava con diverse leggi la prostituzione che era praticata nei lupanari, edifici siti fuori dalle città aperti soltanto nelle ore notturne. Le prostitute o meretrici generalmente erano schiave o appartenevano ai ceti più bassi.

Durante il Medioevo la prostituzione era comune, e sovente tollerata nei contesti urbani. Gli Statuti di molte città regolavano questa problematica; ad esempio, era spesso vietata vicino alle mura della città o nelle aree prossime agli edifici di rappresentanza.
Nel 1859, in Italia, un decreto voluto da Camillo Benso conte di Cavour per favorire l'esercito francese che appoggiava i piemontesi contro l'Austria, autorizzava l'apertura di case controllate dallo Stato per l'esercizio della prostituzione in Lombardia. Il 15 febbraio 1860 il decreto fu trasformato in legge con l'emanazione del "Regolamento del servizio di sorveglianza sulla prostituzione". Con questo provvedimento nacquero le cosiddette "case di tolleranza", perché tollerate dallo Stato. La legge fissava le tariffe ed altre norme come la necessità di una licenza per aprire una casa e di pagare le tasse per i tenutari, controlli medici da effettuare sulle prostitute per contenere le malattie veneree.

Il 20 settembre 1958, a seguito di un lungo dibattito nel paese, venne introdotto il reato di sfruttamento della prostituzione e le case di tolleranza vennero chiuse, con la cosiddetta legge Merlin, dal nome della deputata del Partito Socialista Angelina Merlin. La legge puniva lo sfruttamento della prostituzione ed equipara il favoreggiamento allo sfruttamento: infatti punisce "chiunque in qualsiasi modo favorisca o sfrutti la prostituzione altrui".
Da allora numerosi sono stati i tentativi di modificare la legge, la maggior parte dei quali andava nella direzione di eliminare la prostituzione dalle strade, senza però porsi il problema di disciplinare quella svolta all’interno di edifici privati.

Ad oggi la prostituzione in Italia è legale ma è non regolamentata, mentre le attività organizzate come lo sfruttamento ed il favoreggiamento restano illegali, come in molti altri paesi europei.
Il fatto che non siano presenti regolamenti e leggi decisive, fa si che la prostituzione si situi all’interno di quel mondo sommerso ed oscuro, che da subito ha iniziato a fare gola alla criminalità organizzata; dapprima a quella italiana, la quale successivamente si è spostata su mercati più redditizi come il traffico di droga, lasciando campo alle mafie internazionali, principalmente dell’est europeo, ed africane. Secondo l'ultima indagine specifica operata della commissione Affari sociali della Camera, le prostitute sarebbero in Italia dalle 50000 alle 70000. Di queste almeno 25000 sarebbero immigrate, soprattutto nigeriane, ma anche albanesi, polacche e bielorusse; 2000 minorenni e più di 2000 le donne e le ragazze ridotte in schiavitù e costrette a prostituirsi. a seguito di minacce dirette, anche, a parenti o figli rimasti in patria. La problematica dello sfruttamento coatto e della riduzione in schiavitù basterebbe da sola a far comprendere come il fenomeno della prostituzione esuli dal mero campo etico, allargandosi al rispetto dei diritti umani fondamentali di cui ogni persona dovrebbe godere. A questi dati si aggiungono le decine di prostitute che ogni anno vengono assassinate sulle strade italiane.

Se non bastassero queste dimostrazioni “umanitarie” per dichiarare il fallimento del proibizionismo con il paraocchi che ormai da decenni pervade il nostro paese, forse i dati economici, in un momento di profonda crisi, potrebbero smuovere le coscienze moraliste del “Bel Paese”: il giro di affari della prostituzione in Italia è stimato intorno al miliardo di euro annuo. Se si decidesse di regolamentare la prostituzione sulla falsariga della legge tedesca, dove le operatrici del sesso sono obbligate a dimostrare la propria salute tramite controlli medici periodici e pagano regolarmente le tasse sui propri introiti finanziari, lo Stato beneficerebbe di entrate per più di cento milioni di euro all’anno.

Insomma, se il nostro fosse un paese in cui le decisioni sulla “cosa pubblica” fossero prese analizzando semplicemente i pro e i contro oggettivi, la situazione risulterebbe questa: dalla parte dei pro: grossa riduzione delle entrate per la criminalità organizzata; fine dello sfruttamento e del traffico di esseri umani; drastica diminuzione delle perdite di vite umane e di rischi per la salute, sia per le prostitute che per i clienti; forti introiti per lo Stato sulla base del gettito fiscale versato dalle “lucciole”; riqualificazione di ampie zone delle nostre città invase dalle prostitute e dai loro clienti. E sul piatto dei contro? Lascio a voi l’arduo compito di trovare dei contro alla riapertura delle case chiuse e dalla regolamentazione della prostituzione. Il tutto ovviamente partendo dall’assunto che questo fenomeno non sarà mai, nei secoli dei secoli, estirpabile dagli usi e costumi dell’essere umano. Un dato su tutti per chiudere: nove milioni il numero dei clienti che si rivolgono al sesso a pagamento annualmente. Dove si nascondono i moralisti quando ne cerchi uno?!

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