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mercoledì 19 ottobre 2011

Tiziano Motti, un esempio per il futuro


Il processo a cui stiamo assistendo globalmente in questi ultimi decenni, e che solamente negli ultimi tempi si sta affacciando anche nel nostro paese, ha fatto molto discutere gli analisti ed i professionisti della politica. Quella che all’inizio poteva sembrare una spaccatura netta tra chi si dichiarava a favore o contro questo cambiamento di tecniche e mezzi della comunicazione politica, dettata soprattutto da appartenenze ideologiche di base, si sta, poco alla volta sfumando sempre più. Ormai gli schieramenti sono trasversali, o, come è in voga ultimamente in Italia, bipartisan. La divisione, ora che le grandi narrazioni ideologiche sono cadute, esiste tra chi sostiene un certo ideale della politica, più romantico e idealista, e chi invece vede di buon occhio questa ibridazione tra le tecniche legate al mercato e la politica.

Questo processo è visto da molti come qualcosa di inevitabile ed endemico: l’allontanamento della popolazione da tutto ciò che è discorso politico, anche considerato in senso lato, è un fenomeno che sta crescendo in tutto l’Occidente, e la prima conseguenza pratica è un sentimento antipolitico diffuso.

L’attenzione dedicata dal cittadino a questo campo della vita quotidiana, non più considerato primario, è sempre più labile; questo porta ad una semplificazione del messaggio politico, che non può più permettersi di essere ostico e di parlare una lingua diversa da chi ascolta.

L’aspetto appena enunciato, unito al fatto che nella nostra società sempre più complessa, l’individuo è bombardato da messaggi ed informazioni come se fosse immerso in un flusso comunicativo perenne, fa si che il messaggio politico, per essere in prima istanza assimilato, debba rendersi appetibile e seducente, sia per il cittadino, che per lo stesso mondo dei media, unico gate tra l’informazione e il ricevente.

I programmi televisivi che veicolano informazione politica si trovano a dover competere con format commerciali per la stessa audience. Questo fa si che la politica adotti la logica ed i canoni comunicativi dei media per potere sopravvivere all’interno di tale mondo, e che nascano nuovi generi ibridi di informazione, come per esempio l’infotainment e il politainment, oppure che le soft news soppiantino totalmente le hard news.

Questi nuovi generi sono naturalmente portati a veicolare il messaggio più semplice possibile, che, in questo caso, stringendo all’osso il messaggio politico, è l’immagine del politico stesso. Niente è più facilmente memorizzabile da parte del telespettatore e manipolabile da chi costruisce il messaggio. Ormai tutto è immagine: il contenuto è passato in secondo piano. Non conta più il “cosa” si dice, ma solamente il “come” viene detto.

Il processo può essere visto sotto due punti di vista differenti, uno positivo e l’altro negativo. Chi è a favore, sostiene che questo abbassamento della complessità della discussione politica non può che essere positivo in quanto fa si che larghe fasce di popolazione che si erano allontanate, spaventate dal cosiddetto linguaggio “politichese”, si riavvicinino a tematiche di interesse pubblico. Con la capillare diffusione del mezzi di comunicazione e la scolarizzazione ai massimi livelli, più persone rispetto ai decenni scorsi hanno una conoscenza di base sulle problematiche politiche: questa è una considerazione innegabile.

Il punto di vista di chi è contrario punta proprio sul fatto che queste informazioni diano solamente un’infarinatura; che i cittadini credano di assimilare notizie politiche di primaria rilevanza, mentre sfiorano solamente la superficie dei problemi; i telespettatori vengono sviati su tematiche di risibile importanza, ma che posseggono immensamente più appeal rispetto a notizie più complesse.

Il puntare sulla semplificazione a tutti i costi ha portato la comunicazione politica a ridursi a una riproduzione continua di sound bites: semplici slogan che giungono immediati ai cervelli degli elettori, non più abituati a confrontarsi con discussioni profonde e complicate. Questo porta alla trasformazione dei programmi elettorali, in piattaforme programmatiche dove i concetti portati avanti dai partiti e le coalizioni non sono più esposte in lunghe dissertazioni al limite del filosofico, ma che diventano un elenco di slogan, più facilmente assimilabili da parte dell’elettore. Questi slogan sono immensamente più semplici da comunicare, e si fissano con più immediatezza nella testa dell’elettore.

Tale processo spiana la strada non solo ad una nuova concezione di politica, ma anche ad una classe di politici completamente differenti dal passato. Chi vuole provare l’impresa di candidarsi ad un’elezione di una certa rilevanza, non potrà più permettersi di non possedere perlomeno un livello minimo di utilizzo delle tecniche di comunicazione.

La nuova politica sa che se si vuole riuscire a conquistare il voto degli elettori è più importante conoscere quali sono i loro bisogni e le loro aspettative, piuttosto che affannarsi a convincerli che le proprie idee siano quelle giuste per il loro bene e quello comune. Questo fa si che le indagini di mercato proliferino e che i sondaggi assurgano al ruolo di portavoce dell’opinione pubblica. Le tecniche sopracitate sono quasi tutte di estrazione economica, e non fanno altro che creare una ulteriore ibridazione della politica con un ulteriore settore della società.

Negli ultimi tempi chi voglia tentare la strada politica non ha a disposizione solamente la strada della affiliazione partitica, o la militanza di lungo corso, per poter emergere: sempre più politici provengono dagli ambiti più disparati: da quello economico, allo spettacolo.

L’esempio di Tiziano Motti è, da questo punto di vista, emblematico: un imprenditore che non ha mai avuto in passato esperienze politiche, che è stato in grado di farsi eleggere al Parlamento europeo, contando solamente sulle sue risorse finanziarie e le proprie capacità comunicative e conoscenze tecniche. Motti è stato in grado di farsi eleggere utilizzando uno stile di campagna che fino a qualche anno fa sarebbe stato assolutamente impensabile: serate in discoteca con comizi annessi; bombardamento mediatico attraverso il web; sovraesposizione personale attraverso una candidatura che si incentrava totalmente sulla sua immagine personale. E tutto questo non in un’elezione di basso profilo, bensì in una campagna elettorale per il Parlamento europeo. Questo dimostra che queste tecniche e queste modalità di comunicazione non sono solamente folklore: i risultati sono oggettivi e davanti agli occhi di tutti.

La politica pop è anche questo: da un lato da democraticamente la possibilità a chiunque voglia intraprendere la carriera politica di farlo. Però alcune importanti barriere di ingresso rimangono comunque: la spesa sostenuta dal candidato Motti in campagna elettorale non può in nessun modo essere considerata alla portata di qualsiasi cittadino. Così facendo, la politica rischia di diventare un obiettivo ed un passatempo per facoltosi individui in grado di poter investire sulla propria immagine e popolarità ingenti capitali.

Questo apre la strada a schiere di potenziali politici improvvisati, e con essi ad un certo numero di quesiti. Saranno in grado questi politici dell’ultima ora di garantire uno standard di professionalità minimo? Che motivazione potrebbe avere un professionista o imprenditore per scendere in politica? Il fatto che siano digiuni da qualsiasi rudimento politico è un bene o un male?

Rispondere a queste domande senza utilizzare dei frame ideologici è alquanto difficile. Si potrebbe disquisire anni sui fallimenti della politica tradizionale e dei cosiddetti politici di professione, sul degrado a cui hanno ridotto la politica attuale, sull’incapacità a calarsi nei problemi della società reale da parte di persone che non hanno avuto altre esperienze lavorative significative. E la risposta a queste domande potrebbero non portare, ad ogni modo, ad una conclusione univoca e pienamente razionale.

Fatto sta che l’impoverimento dei contenuti della politica è un aspetto reale ed oggettivo. In un circolo vizioso, l’abbassamento qualitativo dell’informazione, votata alla conquista di audience potenziale, ha portato la politica a parlare degli stessi argomenti e ad usare gli stessi stili di comunicazione dell’informazione. Questo ha portato i cittadini ad avere una conoscenza delle problematiche reali molto inferiore rispetto al passato, a fronte di una maggior numero di notizie diffuse dai mass media: anche questo un controsenso.

Il processo appena illustrato è difficilmente reversibile, anche se spazi di miglioramento esistono e sono praticabili: quando la politica ritornerà a parlare alla testa e al cuore dei cittadini, e non solamente alla loro pancia; quando sarà in grado di dettare la linea e non solamente di seguire la voce dell’opinione pubblica dominante; quando si ritornerà a trattare di argomentazioni attinenti alla vita quotidiana dei cittadini. Quando almeno alcune di queste prerogative saranno soddisfatte, si riuscirà nella conditio sine qua non per una rinascita della politica nel nostro paese: far appassionare nuovamente la popolazione alla politica e renderla coinvolta nelle scelte dei propri rappresentanti, facendo si che la fiducia per le istituzioni possa ritornare finalmente a livelli accettabili, così da trasformare il tutto in un circolo finalmente in virtuoso.

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