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venerdì 21 ottobre 2011

Attendendo una rinascita della meraviglia


La profonda riflessione con cui tedierò i prossimi dieci minuti degli impavidi che nonostante questo incipit orrorifico avranno ugualmente il coraggio di leggersi questo pippone, mi è sovvenuta, un pezzo alla volta, dalle mille discussioni e confronti che questo periodo così emotivamente carico ha stimolato all’interno della cosiddetta “società civile”. In particolare, l’argomento che più ha stuzzicato il mio intelletto assopito dalla prolungata canicola estivo-autunnale, è quello che sicuramente chiunque di voi ha sentito ripetere migliaia di volte attraverso i media, all’interno di qualsiasi conciliabolo, su qualsiasi quotidiano-rivista-mensile e chi più ne ha più ne metta. Si va sul classico, s’intenda, non ho intenzione di stupirvi con fuochi artificiali: si parla di crisi economica mondiale, ma declinata all’italiana con una spruzzata di sana demagogia, come piace a me. Da bravo (ex)studente di Scienze Politiche, però, non mi accontento di analizzare i freddi fatti separati, ma li ho gettati tutti in un unico calderone e l’analisi che ne traggo è questa qua. Buona lettura.

Una nuova sfida attende la Sinistra italiana, se ancora vuole rischiare di giocarsela in futuro alle elezioni, ormai sbandierate come imminenti, della primavera 2012.

E’ una sfida epocale secondo il mio punto di vista, ancora più ardua rispetto allo scisma del ’91 dovuto alla fine del Partito Comunista Italiano. Questa prova è erede diretta di quel passo. Allora fu un tentativo di smarcarsi dalle vecchie logiche partitiche e di appartenenza per dare una scossa e una spinta al rinnovamento, seguendo quelli che erano stati i mutamenti all’interno della società italiana.

Anche in questo periodo la congiuntura “astrale” spinge verso un cambiamento di vedute radicale. La crisi che sta attanagliando l’economia mondiale, richiede un cambio di rotta, se si vuole che le conseguenze della suddetta non diventino ancora più devastanti di quelle che già si stanno abbattendo su tutti noi cittadini. Io individuo, come soluzione possibile e ovviamente parziale, a livello nazionale, la fine di tutti i garantismi, di qualsiasi tipologia essi siano. E non parlo solamente di quelli che appartengono alla “cricca” o “casta”, o come preferite chiamarla. L’unica forza politica che potrebbe essere in grado di sciogliere le catene che trattengono la società italiana ancorata a una logica campanilistica e di cura dei propri interessi personali o di gruppo, è proprio la Sinistra. La quale, però, deve riuscire a comprendere che per passare da forza di opposizione a forza di Governo, deve abbandonare i panni della paladina delle libertà ad ogni costo, anche insostenibile. Graecia docet, misure drastiche non sono più rimandabili e non sussiste nemmeno la certezza che queste possano servire a risolvere davvero la situazione creatasi con decenni di sperperi e clientelismo.

Va bene la fine dei privilegi dei politici per cui siamo tutti d’accordo (per “tutti” intendo la società civile, visto che il fronte dei nostri rappresentati disposto a autoridursi le prebende è alquanto sguarnito, a giudicare dalle votazioni succedutesi in Parlamento negli ultimi anni, ndr). Queste mosse oltre ad un forte significato simbolico, però, difficilmente, riuscirebbero a risistemare un’economia disastrata come quella italiana. I provvedimenti da approvare sono di tutt’altra entità. Si parla di allungamento dell’età pensionabile, abbassamento degli stipendi del pubblico impiego, ammortizzatori sociali più “snelli”, per usare un eufemismo, abolizione delle provincie, istituzione di nuove tasse. Tutti provvedimenti di un’impopolarità inaudita, ma resi indispensabilità da una situazione in cui ormai l’Unione Europea e le agenzie di rating ci tengono ormai la pistola puntata alla testa.

In un momento di smarrimento epocale, in cui grandi movimenti sociali stanno iniziando ad organizzarsi, in cui il “sistema-Berlusconi” pare arrivato al capolinea, l’idea di una classe politica che invece che porsi a guida di questi movimenti, ne diventa un innocuo megafono, come se non fosse in grado di avanzare qualcosa di innovativo, ma solamente di seguire a ruota quello che già altri hanno ipotizzato, ragionato e proposto, mi spaventa quasi.

I politici di Sinistra, se hanno intenzione di riconquistare la fiducia dei propri elettori, e di coloro che appartengono allo schieramento opposto, devono essere in grado di smarcarsi una buona volta dalle logiche di auto sussistenza che fanno si che un grande partito di massa non possa essere portatore sano di idee forti, a volte anche scomode se è necessario. Ed ora lo è, Dio Santo se lo è!

L’unica via d’uscita che riesco ad individuare è questa. Ci aspettano lunghi anni di vacche magre e sacrifici. Sono semplici le richieste che si potrebbero rivolgere ad una classe politica seria, e già questo appellativo esclude buona parte del panorama politico attuale, in maniera del tutto trasversale: di assumersi le proprie responsabilità, di farsi carico delle istanze più urgenti, di prendere decisioni impopolari anche a costo di scendere di qualche millesimo percentile nei sondaggi.

Non c’è via d’uscita, non ci sono altre alternative. Il momento in cui si decide in che fascia economica di paesi vogliamo rientrare per i prossimi venti anni, è ora.

Sperando che la nostra classe politica sia in grado di farsi carico di questo peso, attendo fiducioso la “rinascita della meraviglia” (cit.).

mercoledì 19 ottobre 2011

Tiziano Motti, un esempio per il futuro


Il processo a cui stiamo assistendo globalmente in questi ultimi decenni, e che solamente negli ultimi tempi si sta affacciando anche nel nostro paese, ha fatto molto discutere gli analisti ed i professionisti della politica. Quella che all’inizio poteva sembrare una spaccatura netta tra chi si dichiarava a favore o contro questo cambiamento di tecniche e mezzi della comunicazione politica, dettata soprattutto da appartenenze ideologiche di base, si sta, poco alla volta sfumando sempre più. Ormai gli schieramenti sono trasversali, o, come è in voga ultimamente in Italia, bipartisan. La divisione, ora che le grandi narrazioni ideologiche sono cadute, esiste tra chi sostiene un certo ideale della politica, più romantico e idealista, e chi invece vede di buon occhio questa ibridazione tra le tecniche legate al mercato e la politica.

Questo processo è visto da molti come qualcosa di inevitabile ed endemico: l’allontanamento della popolazione da tutto ciò che è discorso politico, anche considerato in senso lato, è un fenomeno che sta crescendo in tutto l’Occidente, e la prima conseguenza pratica è un sentimento antipolitico diffuso.

L’attenzione dedicata dal cittadino a questo campo della vita quotidiana, non più considerato primario, è sempre più labile; questo porta ad una semplificazione del messaggio politico, che non può più permettersi di essere ostico e di parlare una lingua diversa da chi ascolta.

L’aspetto appena enunciato, unito al fatto che nella nostra società sempre più complessa, l’individuo è bombardato da messaggi ed informazioni come se fosse immerso in un flusso comunicativo perenne, fa si che il messaggio politico, per essere in prima istanza assimilato, debba rendersi appetibile e seducente, sia per il cittadino, che per lo stesso mondo dei media, unico gate tra l’informazione e il ricevente.

I programmi televisivi che veicolano informazione politica si trovano a dover competere con format commerciali per la stessa audience. Questo fa si che la politica adotti la logica ed i canoni comunicativi dei media per potere sopravvivere all’interno di tale mondo, e che nascano nuovi generi ibridi di informazione, come per esempio l’infotainment e il politainment, oppure che le soft news soppiantino totalmente le hard news.

Questi nuovi generi sono naturalmente portati a veicolare il messaggio più semplice possibile, che, in questo caso, stringendo all’osso il messaggio politico, è l’immagine del politico stesso. Niente è più facilmente memorizzabile da parte del telespettatore e manipolabile da chi costruisce il messaggio. Ormai tutto è immagine: il contenuto è passato in secondo piano. Non conta più il “cosa” si dice, ma solamente il “come” viene detto.

Il processo può essere visto sotto due punti di vista differenti, uno positivo e l’altro negativo. Chi è a favore, sostiene che questo abbassamento della complessità della discussione politica non può che essere positivo in quanto fa si che larghe fasce di popolazione che si erano allontanate, spaventate dal cosiddetto linguaggio “politichese”, si riavvicinino a tematiche di interesse pubblico. Con la capillare diffusione del mezzi di comunicazione e la scolarizzazione ai massimi livelli, più persone rispetto ai decenni scorsi hanno una conoscenza di base sulle problematiche politiche: questa è una considerazione innegabile.

Il punto di vista di chi è contrario punta proprio sul fatto che queste informazioni diano solamente un’infarinatura; che i cittadini credano di assimilare notizie politiche di primaria rilevanza, mentre sfiorano solamente la superficie dei problemi; i telespettatori vengono sviati su tematiche di risibile importanza, ma che posseggono immensamente più appeal rispetto a notizie più complesse.

Il puntare sulla semplificazione a tutti i costi ha portato la comunicazione politica a ridursi a una riproduzione continua di sound bites: semplici slogan che giungono immediati ai cervelli degli elettori, non più abituati a confrontarsi con discussioni profonde e complicate. Questo porta alla trasformazione dei programmi elettorali, in piattaforme programmatiche dove i concetti portati avanti dai partiti e le coalizioni non sono più esposte in lunghe dissertazioni al limite del filosofico, ma che diventano un elenco di slogan, più facilmente assimilabili da parte dell’elettore. Questi slogan sono immensamente più semplici da comunicare, e si fissano con più immediatezza nella testa dell’elettore.

Tale processo spiana la strada non solo ad una nuova concezione di politica, ma anche ad una classe di politici completamente differenti dal passato. Chi vuole provare l’impresa di candidarsi ad un’elezione di una certa rilevanza, non potrà più permettersi di non possedere perlomeno un livello minimo di utilizzo delle tecniche di comunicazione.

La nuova politica sa che se si vuole riuscire a conquistare il voto degli elettori è più importante conoscere quali sono i loro bisogni e le loro aspettative, piuttosto che affannarsi a convincerli che le proprie idee siano quelle giuste per il loro bene e quello comune. Questo fa si che le indagini di mercato proliferino e che i sondaggi assurgano al ruolo di portavoce dell’opinione pubblica. Le tecniche sopracitate sono quasi tutte di estrazione economica, e non fanno altro che creare una ulteriore ibridazione della politica con un ulteriore settore della società.

Negli ultimi tempi chi voglia tentare la strada politica non ha a disposizione solamente la strada della affiliazione partitica, o la militanza di lungo corso, per poter emergere: sempre più politici provengono dagli ambiti più disparati: da quello economico, allo spettacolo.

L’esempio di Tiziano Motti è, da questo punto di vista, emblematico: un imprenditore che non ha mai avuto in passato esperienze politiche, che è stato in grado di farsi eleggere al Parlamento europeo, contando solamente sulle sue risorse finanziarie e le proprie capacità comunicative e conoscenze tecniche. Motti è stato in grado di farsi eleggere utilizzando uno stile di campagna che fino a qualche anno fa sarebbe stato assolutamente impensabile: serate in discoteca con comizi annessi; bombardamento mediatico attraverso il web; sovraesposizione personale attraverso una candidatura che si incentrava totalmente sulla sua immagine personale. E tutto questo non in un’elezione di basso profilo, bensì in una campagna elettorale per il Parlamento europeo. Questo dimostra che queste tecniche e queste modalità di comunicazione non sono solamente folklore: i risultati sono oggettivi e davanti agli occhi di tutti.

La politica pop è anche questo: da un lato da democraticamente la possibilità a chiunque voglia intraprendere la carriera politica di farlo. Però alcune importanti barriere di ingresso rimangono comunque: la spesa sostenuta dal candidato Motti in campagna elettorale non può in nessun modo essere considerata alla portata di qualsiasi cittadino. Così facendo, la politica rischia di diventare un obiettivo ed un passatempo per facoltosi individui in grado di poter investire sulla propria immagine e popolarità ingenti capitali.

Questo apre la strada a schiere di potenziali politici improvvisati, e con essi ad un certo numero di quesiti. Saranno in grado questi politici dell’ultima ora di garantire uno standard di professionalità minimo? Che motivazione potrebbe avere un professionista o imprenditore per scendere in politica? Il fatto che siano digiuni da qualsiasi rudimento politico è un bene o un male?

Rispondere a queste domande senza utilizzare dei frame ideologici è alquanto difficile. Si potrebbe disquisire anni sui fallimenti della politica tradizionale e dei cosiddetti politici di professione, sul degrado a cui hanno ridotto la politica attuale, sull’incapacità a calarsi nei problemi della società reale da parte di persone che non hanno avuto altre esperienze lavorative significative. E la risposta a queste domande potrebbero non portare, ad ogni modo, ad una conclusione univoca e pienamente razionale.

Fatto sta che l’impoverimento dei contenuti della politica è un aspetto reale ed oggettivo. In un circolo vizioso, l’abbassamento qualitativo dell’informazione, votata alla conquista di audience potenziale, ha portato la politica a parlare degli stessi argomenti e ad usare gli stessi stili di comunicazione dell’informazione. Questo ha portato i cittadini ad avere una conoscenza delle problematiche reali molto inferiore rispetto al passato, a fronte di una maggior numero di notizie diffuse dai mass media: anche questo un controsenso.

Il processo appena illustrato è difficilmente reversibile, anche se spazi di miglioramento esistono e sono praticabili: quando la politica ritornerà a parlare alla testa e al cuore dei cittadini, e non solamente alla loro pancia; quando sarà in grado di dettare la linea e non solamente di seguire la voce dell’opinione pubblica dominante; quando si ritornerà a trattare di argomentazioni attinenti alla vita quotidiana dei cittadini. Quando almeno alcune di queste prerogative saranno soddisfatte, si riuscirà nella conditio sine qua non per una rinascita della politica nel nostro paese: far appassionare nuovamente la popolazione alla politica e renderla coinvolta nelle scelte dei propri rappresentanti, facendo si che la fiducia per le istituzioni possa ritornare finalmente a livelli accettabili, così da trasformare il tutto in un circolo finalmente in virtuoso.

mercoledì 2 marzo 2011

Toglietemi tutto, ma non la mia poltrona!


La notizia è di quelle scioccanti ed è arrivata come un fulmine a ciel sereno. E’ un po’ come se avessero annunciato l’apparizione di una madonna in un remotissimo e sperduto angolo della terra, ma con la fondamentale differenza che questa volta fosse inconfutabilmente vero.

In qualche parte del mondo esistono ancora politici onesti e con un alto senso morale: questa frase, se pensata con la testa di un italiano assume da subito tinte ironiche e sarcastiche, perché su ammettetelo: solamente pronunciare queste poche parole riferendole alla nostra classe dirigente, fa spuntare un ghigno malefico sulla nostra bocca.

Ovviamente il paese in questione non è l’Italia, e men che meno il politico appartiene alla stirpe italica. Il ministro della Difesa tedesco, barone Karl Theodor zu Guttenberg, si è dimesso in seguito allo “scandalo” causato dalle accuse di plagio della sua tesi di dottorato in giurisprudenza presso l’Università di Bayreuth.

Quello che per molti di noi cittadini italiani sembra un’esagerazione, evidentemente non appare allo stesso modo agli occhi dei nostri corrispettivi teutonici, che da sempre richiedono ai propri rappresentanti, soprattutto se ricoprono cariche strategiche e rilevanti, un’integrità morale pressoché perfetta, e non scalfibile da nessuno scandalo o accusa di sorta.

Tutto questo potrebbe essere visto come un eccesso di zelanteria e di formalità, ma solo se prima si è passati sotto l’indottrinamento e palestra di vita del bel paese, dove tutto, e a volte anche il contrario di tutto, è possibile.

L’intera classe politica, dagli amministratori locali, ai parlamentari, ai ministri della Repubblica, è continuamente sconvolta da scandali, di ogni genere e sorta, con una costanza degna di nota. Non sono qui a fare discorsi di parte, non voglio nemmeno lontanamente nominare il Cavaliere, in quanto non basterebbe il quantitativo di cellulosa utilizzato per l'”Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri” redatta da Diderot e D'Alembert, per descrivere tutto quello di cui è stato capace in questi anni il nostro Presidente del Consiglio. Se c’è qualcosa che unisce trasversalmente gli schieramenti partitici italiani è proprio questa tensione costante ed irrefrenabile a delinquere; a utilizzare la propria posizione di potere, qualunque essa sia, a proprio vantaggio e per quello delle persone a loro vicine.

Ma non è tutto qui. In se e per se, questo aspetto non sarebbe neppure un fatto così straziante: da millenni l’uomo messo di fronte alla possibilità di arraffare ed arricchirsi, difficilmente è stato in grado di resistere; questo discorso è valido, grossomodo, per qualsiasi latitudine e cultura, rendendo questa caratteristica quasi intrinseca della natura umana. Quello che più sconcerta ed amareggia, almeno dal mio punto di vista, è la totale assenza di etica e di una qualsivoglia forma di morale nella classe dirigente italiana nel momento in cui viene scoperta con le mani nella marmellata, ed usando questa locuzione mi sento di essere stato decisamente gentile e magnanimo. La costante che unisce tutti gli scandali, o quasi (vedi caso Marrazzo), è la totale noncuranza da parte dei politici delle basilari regole del buon senso che imporrebbero ad un funzionario eletto (c’è chi direbbe “ad un nostro dipendente”) di fare un passo indietro nel momento stesso in cui vengano pizzicati, senza per forza puntare tutte le proprie chance sulla lentezza della macchina giudiziaria italiana per riuscire a scampare alle dimissioni.

E’ come se la cittadinanza italiana si fosse abituata a questa usanza; e qui si ritorna alla sorpresa che ha colto quasi tutti noi nel leggere del ministro tedesco dimessosi per uno scandalo che da noi probabilmente non impensierirebbe nemmeno un professore universitario. Anche io mi sono sorpreso ad avere come primo pensiero dopo aver letto la notizia, il seguente: “ma che patacca (se non conoscete il significato di questa parola, allora vuol dire che avete sprecato ogni singolo istante passato in Romagna, e non è di certo colpa mia! NdR), per così poco?!”. Per mia fortuna, a distanza di pochi istanti è giunto un profondo sentimento di invidia nei confronti degli abitanti di un paese dove “la morale” non è un anagramma sbagliato di “Lele Mora”, e questo basta a situarmi nel limbo del purgatorio.

Siamo talmente abituati a scusare, ad immedesimarci nei panni del “tentato” dalla tentazione, che ormai tutto ci scivola sopra come pioggia su un parabrezza. Siamo immersi in un continuo flusso di notizie scandalistiche legate alla politica, che come unico risultato hanno quello di allontanarci da essa e farci montare sempre più quei sentimenti antipolitici che sono alla base dello scollamento tra i cittadini e le istituzioni. Con questo non voglio dire che gli scandali vadano nascosti agli occhi dei cittadini; anzi, io auspico che i giornalisti tornino alla funzione di controllori delle amministrazioni, e non solo di osservatori (neanche troppo) esterni. Quello che intendo è che la continua esposizione a scandali mediatici senza che poi i media si interessino della reale conclusione della vicenda, ma solo del suo scatenarsi, non fa altro che anestetizzare la popolazione di fronte a notizie di questo genere.

Ed è quello che è successo, per una motivazione o per l’altra. Siamo un popolo che un passo alla volta sta perdendo la propria capacità di indignarsi di fronte ai soprusi, agli scandali, alle ingiustizie, agli oltraggi, che ogni giorno ci scorrono di fronte agli occhi. Non siamo più in grado di collegare le nostre coscienze stuprate in un movimento vero di protesta, come se ci fossimo tramutati in una folla informe capace solo di azionarsi a comando, ma priva di una razionalità propria (Gustave Le Bon docet).

A volte mi chiedo se veramente i nostri rappresentanti “rappresentino” la società italiana, o ne siano solamente una brutta copia dei vizi, privati delle virtù. Inizio a pensare che questa affermazione non sia veritiera: forse se continuiamo ad eleggere sempre le stesse facce, un motivo ci sarà. Forse in fondo in fondo ci va bene così, condividiamo le loro azioni e la loro condotta. Forse se fossimo al posto loro, anche noi ci comporteremmo tutti nella stessa maniera.

Io la penso in maniera diametralmente opposta, e da qui nasce una certezza: il cambiamento non dobbiamo continuare ad aspettare di vedercelo cadere dall’alto, come un dono divino, ma ce lo dobbiamo andare a prendere giorno per giorno, con le nostre azioni quotidiane, con le nostre richieste, con le nostre proteste, con il nostro esempio, in ultima istanza, con il nostro voto.

Dobbiamo riappropriarci di questo nostro potere fondamentale, perché solo così potremmo avere qualche speranza di migliorare la nostra situazione, senza dover aspettare per forza che la “rivoluzione” sia sempre qualcuno da fuori a portarcela.

APPENDICE: per sdrammatizzare, ma neanche poi troppo, vi butto la altri tre esempi di politici “virtuosi” scovati in giro per il web:

Giuseppe Habineza: il ministro ruandese per la gioventù e lo sport si è dimesso il 15 febbraio 2011 dopo che alcune foto che lo ritraevano in dolce compagnia a ricevere coccole con alcune ragazze durante la festa di San Valentino, sono stati pubblicate su Internet. Non appena la notizia è stata diffusa in tutta la città il ministro ha rassegnato le dimissioni, che sono state subito accolte. Vi ricorda qualcuno per caso?!

Toshikatsu Matsuoka: il ministro dell’agricoltura, accusato di aver gonfiato la propria nota spese di 180000 euro, una volta scaricato dal proprio governo, si toglie la vita per il disonore recato alla sua persona e alla sua parte politica. Pensate all’ecatombe che accadrebbe in Italia…

Jacqui Smith: ministro dell'Interno del governo Brown, si dimette in seguito allo scandalo del rimborso chiesto al parlamento per il noleggio di alcuni film porno da parte del marito. Qua si foraggiano consulenze milionarie, e si utilizzano voli con aerei di stato per trasportare mignotte, e la ci si dimette per una manciata di sterline. Chi è nel giusto?

domenica 30 gennaio 2011

L'utopia della coerenza


Ciao, il mio nome è Enrico, ho 27 anni ed ho un problema.

In un altro paese lo si potrebbe definire “desiderio”, ma oramai l’abitudine e l’esperienza mi conducono a pensare che se in Italia hai un desiderio, ciò significa che sei destinato ad mantenerlo inespresso nei secoli dei secoli.

Io comunque mi sento ottimista, non so perché: sarà la congiunzione astrale; sarà l’ennesima bufera giudiziaria-mediatica-morale-etica-e chi più ne ha più ne metta, che ha colpito il “nostro” Premier; sarà lo strascico di “speranzosità” che le feste natalizie hanno lasciato dietro di loro. Chi lo sa.

Il fatto è che voglio condividere con voi questo mio desiderio, nella speranza che comunicandolo a più persone possibili, possa assumere una forza maggiore e che se magari un Dio dell’universo esiste veramente, potrà ascoltare il nostro “grido disperato”, ed un giorno accontentarci tutti.

Vi espongo brevemente la questione: io nutro la speranza di vivere un giorno in un paese, in cui la Coerenza assurga a valore primo; dove chi compie azioni o pronunzia parole debba risponderne davanti alla comunità tutta senza scappatoie, condoni, o contestualizzazioni di sorta.

Non voglio essere costretto a dover espatriare per realizzare questa visione. Sono sicuro che anche l’Italia possa divenire un paese moderno e realmente democratico.

Questo pensiero porta seco alcune piccole e sfiziose visioni, che, sono sicuro, saranno in grado di portare il buonumore e strappare un sorriso anche nell’animo più triste e demotivato. Eccole.

Un giorno vorrò assistere estasiato alla scena in cui i figli di Scilipoti sputeranno in faccia al proprio padre.

Vorrò deliziarmi della vista dell’Onorevole Santanchè zittita dal video in cui pronuncia il suo anatema sulla considerazione di Berlusconi per le donne (Ndr: “Berlusconi non riceverà mai un voto da una donna, perché lui ci vede solo in posizione orizzontale”).

Andrò in solluchero quando ai vari Capezzone, Rutelli, e compagnia cantante, nel mentre gli verranno rimembrate le proprie origini Radicali, verrà un moto di orgoglio, o di umanità, a voi la scelta, e si ritireranno finalmente a vita privata senza più proferire parola alcuna.

Impazzirò di gioia vedendo gli elettori cattolici praticanti o definiti tali e le gerarchie ecclesiastiche, non votare gli uni, e non appoggiare gli altri, il partito dell’amore a pagamento.

Mi emozionerò nel vedere i miei compatrioti nati al di sotto del fiume Po non permettersi di dare mai più un singolo voto ad una coalizione al cui interno sia presente un partito che con il Nostro tricolore “ci si pulisce il culo”.

Dopo aver elencato tutte queste visioni paradisiache, non so se sono più così tanto ottimista per il nostro futuro. Forse ho disegnato il profilo di un paese utopico dove i cittadini lasciano i propri interessi particolari, ed iniziano a seguire il proprio imperativo categorico. Sarà che studiare Kant fa bene solo se non hai una visione totalmente disincantata del mondo in cui vivi, altrimenti ti sembra di leggere “Il manuale delle giovani marmotte”. Sarà, ma io penso che in qualcosa bisogna pur sempre sperare per riuscire a tirare avanti, soprattutto se è da quando hai 10 anni che ti svegli e ti addormenti con il faccione sorridente del Cavaliere stampato negli occhi.

Lungi da me ergermi ad esempio da seguire, ma io continuo, nel mio piccolo, ad impegnarmi ogni giorno per contagiare positivamente chi mi sta vicino. Sia mai che serva a qualcosa.

martedì 25 gennaio 2011

Io sono "Pro-vita": la MIA!


Alcuni eventi accaduti nelle ultime settimane nel nostro paese mi hanno fatto riflettere sulla tematica dell’eutanasia: dalla presa di posizione della dirigenza Rai sulla obbligatorietà della replica dei comitati “pro-vita” all’interno del programma condotto da Fazio e Saviano, “Vieni via con me”, dopo che nella trasmissione erano stati invitati a parlare Mina Welby e Beppino Englaro; fino al recente caso del regista Mario Monicelli che ha deciso di togliersi la vita in seguito alla scoperta dell’irreversibilità della sua malattia.

Viviamo in un paese che viaggia letteralmente su due piani separati: quello della politica, che subisce le ingerenze di tutti i potentati possibili ed immaginabili; che è rimasto fossilizzato su basi e preconcetti ormai superati; e quello della società civile che invece fa passi in avanti e riesce a smarcarsi dal pantano ideologico almeno sulle questioni che attingono alle libertà personali inalienabili. Quelle che circa 150 anni fa John Stuart Mill nel suo “La Libertà” aveva indicato come inaccessibili al controllo di una qualsivoglia forma di governo che si volesse affrancare dell’appellativo di “democratica”. Bene, sembra che questi concetti tanto immediati quanto semplici, i politici italiani non siano ancora riusciti a digerirli, nonostante qualche decennio, se non secolo, sia passato. L’ineluttabile fatto che la libertà personale di un individuo cessi, nel momento in cui questa vada a intralciare quella di un altro essere umano, deve essere il punto di partenza di questo ragionamento. La presunzione di chi si arroga il diritto di negare libertà fondamentali, come la scelta di poter decidere in che modo iniziare, vivere, ed, in ultima analisi, terminare la propria esistenza, ad altri individui basandosi solo su una presunta superiorità etica e morale, non ha limiti e deve essere deprecata.

Il decidere di porre fine alle proprie sofferenze volontariamente e con l’aiuto di personale medico specializzato non può essere indicato come un gesto egoistico e contro natura: pensate, al contempo, che costringere a vivere una persona contro la propria volontà, contro ogni speranza di guarigione, sia un gesto generoso?

Imporre inutili dolori con la sola motivazione di dover seguire i dettami di una dottrina religiosa, lede le libertà fondamentali di un individuo, ed è considerabile al limite del reato. Io non lo definisco accanimento terapeutico, ma vera e propria tortura di Stato.

Ormai la società italiana è pronta a questo passo in avanti, lo dicono i sondaggi: oltre il 70% dei cittadini si è detto favorevole all’istituzione del testamento biologico. Un semplice primo step verso il traguardo dell’accettazione legale dell’eutanasia da parte dello Stato. Sarebbe un buon inizio che riuscirebbe ad evitare agonie superflue a coloro che hanno deciso che la loro permanenza su questa terra è giunta al capolinea.

Concludo citando un passaggio del suddetto libro, che in maniera magistrale esemplifica la mia visione su questo tema: “Nessuno è mai autorizzato, né da solo né insieme ad altri, a dire a un essere umano in età matura che, per il suo bene, non deve fare della propria vita quel che invece ha scelto di farne. La persona più interessata al proprio benessere è lui stesso”…”…Anche l’uomo o la donna più comuni hanno degli strumenti incomparabilmente superiori a quelli di cui può disporre chiunque altro per conoscere i propri sentimenti e la propria situazione”…”…Gli altri lo potranno far riflettere per aiutare a giudicare, potranno esortarlo a irrobustire la sua volontà: e tutto questo anche molto energicamente; ma lui solo rimarrà giudice ultimo. Può darsi che, a dispetto di consigli ed avvertimenti, commetta degli errori: ma qualsiasi errore sarà nulla, in confronto al male di lasciarsi costringere dagli altri a fare quel che loro ritengono il suo bene”. (John Stuart Mill, La Libertà, 1859, pag. 92).